Come funziona la scienza: capitolo III


Mi hanno detto che l’ultimo articolo era troppo serio e lungo, e che dovrei fare di più il buffone altrimenti mi scende l’audience.

Non me ne frega niente.

Tanto la gravità vince sempre, e presto o tardi scende tutto. Siccome alla fine scende anche l’audience, che mi piaccia o meno, in questo articolo parlerò di una materia odiosa, ostica, inutile e incomprensibile: la statistica.

Io odio la statistica.

Non sto affatto scherzando: la odio. Qualche anno fa mi sono trovato a insegnare statistica in un corso di dottorato, a medici e biologi, ed è stata un’esperienza terribile per me: da un lato avrei voluto dire loro “guardate che vi mancano le basi, dovreste capire prima A,B,C,… siete delle capre!”; ma dall’altro mi sono reso conto che facendo così sarei diventato grigio, antipatico e triste, sarei diventato simile a come sono normalmente i professori di statistica.

Quindi le mie lezioni tendevano a contenere un solo messaggio: non studiate, lasciate perdere, usate il buon senso, non la statistica!

In ogni caso se non capite la statistica e la odiate non preoccupatevi, siete in buona e ampia compagnia, e sono sinceramente convinto che in questa ampia compagnia ci siano moltissimi scienziati.

Ma non è solo per questo che la odio.

La statistica non funziona, non è predittiva ed è uno strumento medievale; comunque anche se funzionasse sarebbe inutile (perché molti scienziati non la capiscono); e in ogni caso è del tutto immorale sottoporre generazioni e generazioni di studenti alla tortura di dover studiare questo orrore. Nessuno scopo è così alto da giustificare metodi così indegni (cit.).

Mi rendo conto che è ancora un male necessario, ma spero che la statistica sia presto:

1 – Ridotta a tre o quattro teoremi e un paio di definizioni in luogo delle centinaia attuali;

2 – Rifinita applicando tante belle simulazioni Montecarlo (per chi non è del campo: tirare freccette, ma tirarne tante-tante), invece di usare equazioni complicatissime; e infine

3 – Rimpiazzata con metodi sostitutivi, quali rendere obbligatorio nelle conclusioni di ogni lavoro scientifico l’uso della frase “by human eye inspection” (eventualmente nella versione “ad occhio e croce” per i lavori scritti in Italiano).

Ciò premesso, riconosco che per ora la statistica è un male necessario, e perciò ve ne parlo, partendo dal TODS, che non è una marca di scarpe bensì il Teorema Olistico Della Statistica, formulato da Artur Bloch nel 1988 e valsogli un Nobel per la Matematica (ci credete, vero?).

Il 78% delle statistiche è inventato o male interpretato.

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Le statistiche inventate in sé non sono un gran problema, come tutte le cose false vengono declamate senza supportare scientificamente l’affermazione, e quindi non valgono niente, lo spiegavo nel primo capitolo. Poi sono perfino facili da smentire.

Ad esempio se vi dico “una buona parte degli scienziati è convinta che la sperimentazione animale sia inutile”, salta fuori una rivista chiamata Nature, fa un sondaggio e glielo chiede, e viene fuori che gli scienziati sono univocamente convinti che la sperimentazione animale sia necessaria. Oltre il 95% la pensa così. Le balle hanno le gambe corte quando sono così sfacciate.

Il problema è quando sfacciate non sono, cioè quando si riportano dei dati “formalmente corretti” ma li si riferiscono in modo subdolamente distorto, e di questo parleremo.

Il modo migliore (il “meno peggio”?) per spiegare la statistica è con degli esempi, ma non vorrei mai che qualcuno cogliesse in questi esempi dei riferimenti a fatti o persone reali (che sarebbero comunque non voluti e meramente casuali), quindi ambienterò gli esempi nel medioevo.

Una storiella medievale (di cacca).

Mi dicono, e ho motivo di credere che sia vero, che nel medioevo un gran numero di persone morisse di dissenteria; ho motivo di credere che sia vero perché posso immaginare quali fossero le condizioni igieniche all’epoca.

Mi dicono anche, ma questo ho motivo di credere che sia una fesseria, che il problema era tanto sentito che girava un detto che recitava “fragor pepiti in corpore sano”, con ciò intendendosi che se uno poteva permettersi di tirare una rumorosa scorreggia (senza temere conseguenze catastrofiche) allora era presumibilmente sano, la dinamica della faccenda immagino sia chiara; ho però motivo di credere che sia una fesseria perché chi me lo ha detto, oltre che di “scie biologiche”, parla spesso di scie chimiche.

Comunque andiamo indietro nel tempo e immaginiamo che in un feudo medievale si sia diffusa una epidemia di Cagottus Squaqqueronis Irrefrenabilis, in breve sindrome C.S.I.

La CSI colpì migliaia di persone, delle quali metà, a forza di dare il meglio di sé, finivano disidratate e si accasciavano defunte, senza nemmeno suscitare l’empatia degli astanti, invero un pochino schifati.

Brutta storia.

Peggio che guardare Mediaset di domenica pomeriggio.

Un giorno uno stregone locale preparò nel suo calderone una pozione che lui sosteneva essere magica, ma in fondo importa poco, avrebbe potuto perfino essere stata ottenuta in modo banalmente scientifico e la storiella varrebbe lo stesso. Testata la pozione sui sassi, iniziò a distribuirla tra la popolazione malata di CSI.

La pozione pareva efficace, quasi tutti quelli che la bevevano smettevano subito di evacuare in modo incontenibile, il che già migliorò il clima e i rapporti di vicinato (considerate che nel medioevo le fogne non erano granché); e soprattutto, contenute le deiezioni, quasi tutti sopravvivevano. Quasi.

Quasi perché qualcuno, pochi, bevuta la pozione in pochi secondi iniziava a rantolare e sbavare, poi stramazzava al suolo decedendo all’istante. Pochi, diciamo uno su cento. Ma la cosa era comunque alquanto sgradevole per l’interessato e spesso disapprovata dai parenti.

Tempo dopo il regnante incaricò uno statistico di analizzare la situazione: diecimila persone avevano preso la CSI e avevano bevuto la pozione, di queste nessuna era morta per sovraproduzione fecale, ma un una ogni cento ci era rimasta secca all’istante; altre diecimila avevano preso la CSI, ma la pozione era finita e quindi non l’avevano bevuta, di queste metà si erano stercofatte lentamente, morendone. Lo statistico relazionò. E lo strillone del re annunciò.

La pozione di quel malefico stregone ha ucciso cento persone!

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Corre voce, riferita dallo storico Giobbe Covatta, che poco dopo lo strillone e lo statistico vennero sodomizzati dalla folla, e la folla fa male, perché la folla sono tanti (semicit.). Altri storici aggiungono che entrambi ebbero, negli anni successivi, seri problemi a contenere le evacuazioni, anche se la pozione l’avevano bevuta.

Comunque, come accade per la scienza e il buon vino, anche la stregoneria con il tempo migliora, se non altro per tentativi. Ogni anno arrivava l’epidemia di CSI, e ogni anno i vari stregoni si cimentavano nel tentativo di produrre una pozione nuova per curarla, onde evitare che il volgo ne fosse decimato.

Il secondo anno la pozione non uccise più una persona su 100, ne uccise una su mille, tra atroci sofferenze; il terzo anno la pozione uccise sempre una persona su mille, ma facendola addormentare serenamente; il quarto anno la pozione non uccise nessuno, ma ne rese cieco uno su mille; e così via. Dopo una decina di anni la pozione funzionava decisamente bene: una persona su diecimila restava un po’ rincoglionita, ma neanche tanto, e comunque solo una, gli altri guarivano. Ovviamente questi effetti indesiderati delle pozioni erano oggetto di dibattito quotidiano, invece il fatto che metà di quelli che bevevano la pozione senza la stessa si sarebbero liquefatti ed autoespulsi analmente, essendo scontato, non faceva granché notizia e tendeva ad essere dimenticato.

Comunque, dovendo scegliere tra una possibilità su cento di morire all’istante sbavando e rantolando oppure una su diecimila di restare un po’ rincoglioniti (ma giusto un po’), i sudditi medievali, pur ignoranti come capre e non conoscendo la statistica (o forse proprio per quello), sceglievano la seconda. Del resto si rincoglionivano quasi ogni sera con del pessimo vino (fatto con i piedi e non pastorizzato), che sarà mai. Analogamente anche le pozioni del secondo anno, del terzo e così via, caddero in disuso, in favore delle successive.

Un bel dì una pescivendola, aggiustandosi il reggicalze e non perdendo l’occasione per mostrare le mutande, chiamò un altro statistico (erano infestanti già all’epoca) e chiese un aggiornamento. Quello studiò e relazionò, e la domenica dopo in un talk-show pomeridiano una strillona riferì.

Gli stregoni sono dei cretini, il 90% delle pozioni sono state ritirate!

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Questa volta il popolo era già rincoglionito, non dalle pozioni né dal pessimo vino, bensì dal talk-show, e sia la strillona che la pescivendola la passarono liscia rispetto alla faccenda della sodomia da parte della folla (una delle due restandone delusa, stando a quanto riferiscono alcune voci).

In verità gli stregoni tanto stupidi non erano, consideriamo che non essendo scienziati ma maghi non erano pagati da nessuna lobby, né erano sadici assassini, perciò facevano le cose con un certo criterio e cercavano di curare la CSI contenendo i danni.

I danni erano un problema molto sentito, anche perché correva voce che una volta, per aver bevuto una pozione non collaudata a dovere, si fosse sciolta la faccia di una delle favorite dell’imperatore, e che questi si fosse irritato non poco, tanto da far decapitare una quarantina di stregoni in fila. Cosa ritenuta sgradevole dagli stregoni dell’epoca, all’unanimità (non servirono statistiche).

Attente analisi della situazione avevano mostrato che la “Pozione Elisir”, a base di acido solforico e urina di cammello fermentata, quella che aveva sciolto le facce, aveva anche la capacità di sciogliere alcune altre cose (non tutte, per esempio non scioglieva i sassi ma le verdure sì), e in generale gli stregoni avevavo osservato che le pozioni che scioglievano le cose erano assai deleterie.

Dunque gli stregoni si erano dati un metodo (non scientifico eh, per carità, solo empirico) finalizzato a collaudare le pozioni, in linea di massima facevano così:

In primo luogo annusavano la pozione (mettendola in un calice da champagne, da qui la definizione test in vitro), se essa emanava olezzo di escremento stantio allora applicavano una regola generalmente accettata e basata su una solida teoria: da merda viene merda, questa roba può solo fare defecare di più;

Se la pozione passava questa prova la usavano per irrigare i cavoli, questo faceva sì che talvolta i cavoli friggessero, in questo caso la pozione era considerata pericolosa perché troppo aggressiva, come la Pozione Elisir.

Se i cavoli non friggevano, allora provavano a far bere la pozione a un po’ di gente messa proprio male con la CSI (insomma davvero prossima a cagarsi l’anima comunque): solo se su quelli funzionava bene allora la distribuivano urbi et orbi.

Si erano dati addirittura una regola che, a pensarci bene, era una trovata geniale: quando provavano la pozione sulle prime persone non si accontentavano che facesse passare la CSI e ammazzasse poca gente, gnornò gnornò: volevano che funzionasse meglio di quella dell’anno prima, cioè che ponesse termine al deleterio eccesso di produttività intestinale e che facesse meno danni della precedente!

Erano dei volponi sti stregoni eh?

Siccome gli stregoni in fondo non avevano granché da fare, ogni anno inventavano 100 varianti diverse della pozione, di queste una metà non passava la prova del tanfo e quindi veniva direttamente conferita alla regale latrina, una quarantina di pozioni friggevano i cavoli e quindi venivano considerate troppo aggressive, l’altra decina veniva provata su dei pazienti gravemente evacuanti. Di queste ultime solo una o due funzionavano effettivamente meglio della pozione dell’anno precedente, e la migliore vinceva.

Orbene, già all’epoca esistevano delle teorie inerenti i diritti del cavolo, specificamente (ed antispecisticamente) si teorizzava il diritto all’autodeterminazione del cavolo, con ciò non intendendosi denigrare il diritto all’autodeterminazione, bensì volendosi sostenere l’opportunità che gli esemplari di brassica oleracea potessero scegliere liberamente il loro destino.

Sicché alcuni gruppi di cavolari protestavano veementemente per i poveri cavoli iniquamente fritti sul campo (ad litteram e ad sensum), senza anestesia (che all’epoca non c’era), e senza consenso informato (stanti le oggettive difficoltà che ci sono nell’informare un cavolo).

Un giorno i cavolari chiamarono un altro statistico. Lo statistico analizzò i dati. I cavolari strillarono direttamente il responso senza chiamare lo strillone, tanto a strillare erano bravi di loro.

IL 90% DELLE POZIONI PROVATE COL CAVOLO NON FUNZIONA!!!11!

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La scelta delle parole mandò in confusione molti ascoltatori: non era chiaro se la parte “col cavolo” voleva depotenziare l’affermazione “non funziona”, voleva smentire il fatto che le pozioni fossero state provate, o voleva circostanziare l’evento della prova al test sulla brassica. Pare che i cavolari non fossero molto bravi a esprimersi, ma lo erano a farsi sentire (in quanto urlatori per vocazione).

Comunque i cavolari erano molto convinti, e in ciò chiesero di proibire i test del cavolo, o sul cavolo, in difesa di sti cavolo di diritti, insomma quella roba lì. Alla domanda “ma come cavolo proviamo se una pozione scioglie le facce?” i cavolari suggerirono di provare direttamente sui sudditi le cinquanta pozioni non puzzolenti, sciogliendo ogni anno una quarantina di facce, ma quello è poca cosa dai, l’etica prima di tutto: chi ha detto che la tua faccia è più importante del mio cavolo? Vennero fortunatamente mandati dagli altri sudditi a evacuare nel campo di cavoli, senza pozione.

Ma i cavolari non erano certo avvezzi a darsi per vinti facilmente, gridarono coretti da scuola media davanti alle conferenze degli stregoni, misero manifestini, spacciarono ritratti della preparazione dei crauti per crudeltà avvenute durante gli esperimenti, minacciarono, insultarono, e altre amenità.

Impavidi e incavolatissimi, cercarono poi un altro statistico che fece un’acuta osservazione: Ogni anno, per dieci anni, una decina di pozioni ha passato il test sul cavolo, di queste cento pozioni novanta appena provate sui villani non sono risultate idonee a curare la CSI, poi otto delle dieci rimaste sono cadute in disuso successivamente; dunque ne restano due, le altre novantotto non erano buone, e il test a cavolo non l’ha predetto. Novantotto!

Qualcuno osò ripetere la domanda imbarazzante che faceva proprio incavolare i cavolari: allora come cavolo le proviamo le pozioni ? Quali sono i metodi alternativi ? Quelli a sto giro si vergognavano un po’ a ripetere la cavolata per cui erano stati mandati a defecare all’unanimità, e quindi ribadirono “non funziona, non zunfiona, NON FUNONZIA!!!” (si ripetevano spesso, e l’ortografia credevano servisse a disegnare una casa confortevole per i cavoli).

Uno stregone, nel tentativo di rabbonirli, fece tutto un discorso sulla fase quattro, ma quattro era un numero e i cavolari andarono in panico (con i numeri avevano problemi), allora lo stregone disse una frase che conteneva la parola “studi epidemiologici” e quelli si ricordarono sta parola, pur non capendola, perché suonava bene.

A dire il vero i cavolari non ci capirono granché proprio di tutto il ragionamento, ma il numero novantotto piaceva e faceva molto effetto, come pure la parola “studi epidemiologici”, pertanto indovinate un po’ che fecero? Strillarono.

IL 98% DELLE VOLTE STO CAVOLO DI TEST NON FUNZIONA!!!!undici!

NOVANTOTTO!!!!!!!!!!! FATE I STUDI EPIDERMIOLOTTICI!!!8+3!!!

Come vedete già all’epoca le statistiche erano interpretate in modo singolare, e finivano per spargere più merda della sindrome da Cagottus Squaqqueronis Irrefrenabilis.

Secoli dopo, qualcuno inizierà a produrre la pozione magica per curare anche la sindrome da “Cagottus Statisticus Irrefrenabilis”, si chiama cultura, la ricetta è quì: Elementi di probabilità per babbei.

[RV]

PS: Ogni anno metà della plebe si ammalava e veniva curata con la pozione, ma questa pare fosse davvero pericolosa e avesse effetti anche postumi: indagini statistiche successive rivelarono come il 50% dei sudditi che venivano schiacciati da un carro avesse bevuto la pozione nell’anno precedente l’incidente, e questo dato diveniva ben il 97% considerando quelli che avevano bevuto la pozione almeno una volta nei 5 anni precedenti. Sarà un caso? Col cavolo!

AGGIUNTA: Tutte le spiegazioni sulle “statistiche” del racconto sono nel pallosissimo capitolo III-bis!

20 thoughts on “Come funziona la scienza: capitolo III

  1. “Secoli dopo, qualcuno inizierà a produrre la pozione magica per curare anche la sindrome da “Cagottus Statisticus Irrefrenabilis”, si chiama cultura, la ricetta è quì: Elementi di probabilità per babbei.”

    Ahahahaha ho riso così tanto che per poco non cadevo dalla sedia! Grandissimo!

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  2. 21 deve scendere in campo e difendere la sua professione. Sono uno statistico (non un ricercatore, sia chiaro), con la statistica ci lavoro e mi dà il pane quotidiano. Il problema della statistica è che rappresenta un compromesso scientifico dell’informazione quantitativa, fra sintesi e completezza. Alla fine, la statistica è quasi una forma di giornalismo: riporta numeri, non fatti, ma entrambi offrono informazione.

    Non sono d’accordo sulla natura di “male necessario” perché la statistica ci serve. Ha prima di tutto una natura contabile (da cui l’etimologia di statistica con “stato”, perché serve ai governi) e poi offre uno strumento di sintesi necessario in situazioni in cui la fornitura dell’informazione completa sarebbe troppo pesante. I numeri piacciono poco.

    Ovviamente, la buona statistica dovrebbe essere in grado di chiarire con pochi indicatori semplici tutta la complessità dell’informazione che descrive. In realtà non ci riesce e le scelte sono due: o i risultati sono così sintetici che potrebbero essere fraintesi o manipolati (spesso manipolati), oppure si offre una batteria di indicatori complessa per i lettori.

    Trilussa aveva ragione nella famosa poesia del pollo. Ma un pensionato sarebbe pronto a capire il concetto di variabilitá?

    Non parliamo poi della statistica inferenziale, che richiede ipotesi e assunzioni: normalità, campionamento, rappresentatività e altre diavolerie.

    La statistica predittiva è un altro discorso ancora: nessuno ha la sfera di cristallo, neanche la statistica. Le previsioni? Complicate o no, sono basate su ipotesi, prima fra tutte la stazionarietà. Ovviamente, la cieca obbedienza alla metodologia è da idioti, e un bravo statistico dovrebbe completare la metodologia con l’evidenza e l’intuito. È inutile incastrare un modello econometrico ultracomplicato quando basta un accorgimento per avere una stima prudente. Alla fine, anche in questo settore vale la regola “Keep it simple, stupid”.

    Per finire la statistica è coerenza, attendibilità delle fonti e veridicità. Proprio come il giornalismo “buono”. Se conosci degli scienziati che non capiscono la statistica, evidentemente non sanno nemmeno come esprimersi.

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    • Ciao,
      due note, una positiva e una negativa.
      Quella positva è che trovo le tue osservazioni totalmente condivisibili, tutte tranne una.
      Quella negativa è che quello non trovo condivisibile è la necessità di difendere la professione, perché non è stata attaccata!
      Tutta la parte introduttiva sulla statistica era (AUTO)ironica, visto che se non lo avessi capito ho insegnato statistica (e non una sola volta) in dei corsi di dottorato: è del tutto ovvio [o meglio: speravo che lo fosse] che la statistica non ha colpa, la colpa è il modo distorto in cui spesso giornalisti, pseudo-informatori, politici e militanti “strillano” un risultato distorcendolo!
      Mi spiace che tu non abbia colto l’ironia (più di così non so fare, eccheccaz… le 3R della statistica, in nobel per la matematica, la citazione di Einstein.. poi? 😀 ).
      [RV]

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      • Sì, hai ragione, con la “rilettura del giorno dopo” mi sono reso conto che il mio commento suona troppo difensivo. 😀 Però, sai, dopo aver persino letto da qualche parte che la colpa della crisi finanziaria è della Copula Gaussiana, ringhio spesso!

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