Come funziona la scienza: Capitolo IV


Dopo il breve viaggio nel medioevo del capitolo precedente, accendiamo la macchina del tempo e torniamo ai nostri giorni. Si potrebbero fare facili battute su chi nel medioevo vuole riportarci, o sull’incapacità di ‘sti benedetti scienziati di costruire le macchine del tempo, ma soprassediamo.

Torniamo invece al mostro subcellulare, visto che di quello subatomico ne ha già parlato Asimov. Mi riferisco al mostro di cui parlavo nel secondo capitolo.

Il vero mostro. La biologia moderna.

Essa presenta alcune “marginali” difficoltà: le cellule non le abbiamo fatte noi secondo un “progetto”, non siamo in grado di guardare come stanno le cose, non possiamo misurare le quantità in gioco, funzionano secondo regole che non conosciamo se non a grandi linee; e infine se anche potessimo guardare come stanno le cose, conoscessimo le regole e tutte le quantità… tutti i computer del mondo messi insieme non riuscirebbero a simulare un bel niente, al confronto le previsioni del tempo sono un gioco per bambini.

Partiamo dal “guardare come stanno le cose”: avete mai visto il DNA? Sono certo che lo avete visto in qualche rappresentazione tipo questa:

Immagine modellino DNA Questa elichetta rappresenta il DNA, per l’esattezza un tratto di un cromosoma, al centro delle cellule c’è una cosa chiamata nucleo in cui stanno raggomitolate delle catenelle di DNA, tenute insieme da dell’altra roba (delle proteine, di cui parleremo più avanti) due di queste catenelle si arrotolano una sull’altra  prendendo una forma a doppia elica e si chiamano cromosomi, questa figura ne rappresenta un pezzetto.

Ma questo è solo un disegno, o meglio un modellino (proprio nel senso di pezzo di plastica, stavolta). In questo modello vedete delle palline colorate, ognuna di quelle palline colorate rappresenta un nucleotide (quei robi che ci han detto essere di quattro tipi, chiamati con le lettere A, C, G oppure T, dai, lo sanno tutti).

Un nucleotide è una molecola, cioè un insieme di atomi agganciati uno all’altro in qualche forma, credo che, salvo quelle degli elementi chimici puri (che possono essere fatte di uno o più atomi uguali), la molecola più semplice sia l’acqua.

Ricordiamo tutti com’è fatta l’acqua a livello molecolare, vero? No? Ok, non lo dirò al vostro professore di scienze delle medie, anche perché non lo conosco e se vi ha promossi dovrebbe vergognarsi lui, non voi.

L’acqua è fatta così: un atomo di ossigeno e due d’idrogeno, ovviamente anche questo è un disegno:

Molecola di acquaTre atomini incastrati uno nell’altro così, semplice semplice, come vedremo fra poco anche una molecola d’acqua nessuno l’ha mai vista, ma da molti anni si sa che è fatta proprio così e lo ha detto gente che ne sa molto più di me e voi, quindi ci fidiamo (poi scrivo anche un articolo sulla differenza tra appellarsi all’autorità e appellarsi all’autorevolezza, è una promessa, anzi una minaccia).

Dovete sapere che gli scienziati dei secoli passati a capire com’è fatta una semplice molecola d’acqua e a farne il modellino ci hanno messo un bel po’, per un semplice motivo: non potevano “vederla”.

Torniamo a quelle pallette che stanno nel DNA, i nucleotidi, come dicevo sono anche loro fatti di atomi incastrati uno nell’altro, tralasciando molti dettagli semplifichiamo dicendo che ognuna di quelle pallette è fatta da una trentina di atomi, e quindi è già molto più complicata di una molecola d’acqua, poi di quelle “pallette” in un cromosoma umano (cioè in una delle 23 catenelle di DNA che ci sono in una cellula umana) ce ne sono da trenta milioni a duecentoventi milioni.

Bene penserete voi, prendiamo un modernissimo microscopio, guardiamo un cromosoma da vicino e vediamo dove sono gli atomi, le pallette e tutto il resto, guardiamo anche come si muovono e cosa fanno, non sarà mica complicato, i laboratori “oltreoceano” avranno dei microscopi potentissimi!

Ripeto la domanda, avete mai visto il DNA?

No, non lo avete mai visto, perché non lo ha mai visto nessuno, non nei dettagli almeno, non bene, infatti le prime immagini del DNA “visto con un microscopio” risalgono al 2012 (e ci sarebbe da dire qualcosa sul chiamare quell’affare “microscopio”… si chiama microscopio elettronico ma non è certo una semplice fila di lenti su cui appoggiare un occhio!); quelle immagini sono roba come questa:

Immagine DNA al microscopio elettronicoQuella cordicella che vedete sarebbe un “pezzo di cromosoma srotolato”, carino eh?

Sapete dirmi se l’ottavo atomo di carbonio della palletta numero 38.514.998 è a destra o a sinistra ? No. Ok, è un po’ sfocata.

Non abbiamo un microscopio abbastanza potente per “vedere come stanno le cose”. E non vi fate ingannare dai “grumi” sul filamento, non sono le famose pallette, quelle sono molto più piccole, questi sono solo artefatti visivi: vedere i nucleotidi in questa immagine (le “pallette”) sarebbe come vedere le gocce d‘acqua che si stanno formando guardando una nuvola, a occhio nudo.

C’è anche un’altra cosa da dire, quel cromosoma per “vederlo” al microscopio lo abbiamo tirato fuori dalla cellula, staccato dagli altri cromosomi, srotolato, immobilizzato… insomma per farla breve, quella cellula proprio bene non sta: per tirare fuori il DNA l’abbiamo dovuta frullare.

Forse un giorno potremo vedere in dettaglio com’è fatto, ma per vedere come funziona dovremmo osservarlo mentre è dentro alla sua cellula, la quale sta nel suo organo, dentro a un corpo. Molto complicato.

Ma che fa sta roba?

Non è certo semplice ma in grandi linee si può spiegare rapidamente, siccome tutto è un po’ “ciclico” partiamo dal DNA. Quella “catenella di pallette” è una specie di manuale d’istruzioni, o se vogliamo un nastro con scritte delle cose, dicevo che le pallette (i nucleotidi) sono di quattro tipi, A, C, G e T, e questo è un codice.

Bene: nella cellula c’è una specie di macchinetta che si attacca a un cromosoma, lo srotola e lo scorre, nel farlo legge la sequenza di pallette, TTAGTCAACTGCTATGC…, prende del materiale in giro e fa una specie di “copia al negativo” di quella sequenza (chiamata RNA), poi la sputacchia fuori. Più o meno così: http://www.youtube.com/watch?v=D3fOXt4MrOM

C’è poi un altro tipo di macchinetta che prende la copia in negativo, rilegge la sequenza e la traduce costruendo un’altra catena, fatta di pallette di un altro tipo, chiamate aminoacidi. Gli aminoacidi sono di una ventina di forme diverse, e si solito si chiamano con le lettere dell’alfabeto, la seconda macchinetta quindi “traduce” delle sequenze di tre palline di DNA in una pallina di aminoacido, ad esempio la sequenza di pallette di DNA “CGA” diventerà un aminoacido chiamato “R” (arginina). La tabella che fa la traduzione si chiama “codice genetico” e queste catenelle di aminoacidi si chiamano “proteine”.

Le proteine sono dunque catenelle di “pallette aminoacido”, lunghe da qualche decina a diverse migliaia di aminoacidi. Per chiarezza: questa macchinetta la “fila di palline aminoacido” chiamata proteina la fabbrica proprio, mettendo insieme i pezzi, cioè materiale trovato in giro per la cellula.

Le proteine vengono quindi mollate in giro per la cellula e, siccome sono molecole molto complesse e pesanti, fatte di atomi che si attirano a vicenda, si “auto-arrotolano” su se stesse prendendo le forme più strane, questo processo si chiama “folding”. Ovviamente la forma che prendono dipende dalla sequenza di pallette e non è affatto casuale. Capire che forma prenderà una certa proteina in base alla sequenza di aminoacidi di cui è fatta è l’obiettivo, ad esempio, del progetto Folding@HOME di cui alcuni di voi magari avranno sentito parlare.

Le proteine, poi, una volta presa la loro forma, s’incastrano una nell’altra, ma non è così semplice come l’incastrarsi di pezzi di un macina-caffé: siccome sono dei blobboni piuttosto elastici si possono deformare a seconda di che altra proteina hanno davanti, più o meno come due fidanzatini che si abbracciano, e magari fanno altre robe: in pratica a seconda di chi hanno davanti prendono una forma diversa e si appolpano una sull’altra, ma solo se si stanno simpatiche a vicenda, ovviamente.  A differenza della maggior parte dei fidanzatini le proteine spesso si abbracciano e fanno delle cose anche in gruppo, de gustibus.

Comunque non è che una proteina si appolpi a casaccio con chiunque incontra, sono “progettate” per comporsi in modo preciso a formare delle “macchinette”. E qui torniamo indietro: ad esempio le macchinette che trascrivono il DNA in RNA e poi traducono l’RNA in proteine sono fatte… di proteine!

Ovviamente non è mica così semplice come ve l’ho raccontata eh!

Il DNA di un cromosoma non viene trascritto tutto dall’inizio alla fine, anzi solo alcuni “pezzi” piuttosto piccoli di DNA vengono trascritti e tradotti: quei “pezzi” si chiamano geni; ci sono delle altre macchinette composte da proteine chiamate fattori di trascrizione che quando “vedono che in giro serve una certa proteina” vanno a cercare una certa sequenza di “simboli” sul DNA, si incollano lì e chiamano le prime dicendo “inizia da qui che serve sta proteina” (riconoscono dei pezzi particolari di DNA chiamati binding site, son fatte così, gli piace fare quello); ce ne sono altre che invece si mettono sul DNA come “tappo” proprio per evitare che quella proteina venga prodotta; altre ancora si agganciano all’RNA e lo modificano al volo prima che venga tradotto se serve così; oppure si mettono su un pezzo di DNA in mezzo al gene e dicono alla macchina trascrittrice “quando stai trascrivendo questo pezzo saltalo” (si chiama splicing alternativo, così si produce una proteina con dei pezzi in meno che magari fa qualcosa di diverso dall’originale).

Tutto avviene in un “equilibrio dinamico” in cui esistono a volte decine o centinaia di migliaia di copie di una certa proteina in giro per la cellula, che s’incastrano in meccanismi fatti di proteine che regolano, costruiscono, o demoliscono altre proteine!

Ma le macchinette molecolari in giro per la cellula fanno anche molte altre cose: ce ne sono che si occupano di srotolare il DNA (che di solito sta bello appallottato al centro della cellula) e rimetterlo a posto; altre stanno sulla parete della cellula e buttano dentro delle sostanze nutritive e dell’ossigeno; alcune prendono le sostanze nutritive e l’ossigeno e producono un carburante per le macchinette chiamato ATP; altre ancora buttano il pattume fuori dalla cellula.

Poi non sto a raccontarvi quel che succede quando è ora di “replicare” una cellula, cioè di farla diventare due… dovreste esservi spaventati abbastanza. Aggiungo solo che le proteine prodotte all’interno di una cellula umana sono alcune decine di migliaia di tipi. Il numero di “macchine” che si possono costruire con questi “pezzi”… non lo sappiamo esattamente.

Diciamocelo chiaro, in una cellula c’è un gran casino.

Questo dentro a una cellula, una, piccola piccola. La prima cellulina si divide in due, quelle si dividono in quattro… quando sono un certo numero iniziano a dividersi in cellule leggermente diverse, e così via: alla fine ci sono le cellule della pelle, dei muscoli, del sangue, del cervello, del fegato… migliaia di tipi diversi.

E quando un organismo complesso si è formato tocca anche tenere conto di che cosa succede fuori dalla cellula, perché le cellule mica stanno lì per i fatti loro, no: sono a loro volta incastrate in mezzo ad altre cellule e si mandano a vicenda dei “segnali chimici”, sono organizzate in tessuti, si muovono, muoiono, ne vengono generate di nuove, si modificano… se una cellula è un gran casino un organismo intero è di una complessità che supera l’immaginazione.

Comunque, oltre alle “macchinette” necessarie e far funzionare la cellula per conto suo ce ne sono di specifiche che fanno in modo che la cellula funzioni dentro a un organismo complesso: ad esempio se una cellula è un neurone ci saranno delle macchinette che sono capaci di ricevere dei segnali dagli altri neuroni e trasmetterli, se invece è un muscolo ci sono delle macchinette che la rendono capace di “contrarsi”, se è una cellula della pelle avrà una serie di macchinette che le fanno fare cose necessarie lì. Esistono meccanismi (sì, inizia a sembrare un disco rotto: fatti di altre macchinette di proteine) che fanno sì che man mano che le prime cellule si dividono inizino a differenziarsi e ad attivare trasformazioni che le fanno diventare diverse una dall’altra.

Di tutto quanto sopra, sappiamo, in linea di massima, i “princìpi di funzionamento”.

Cosa possiamo osservare direttamente ? Niente.

Ci sono strumenti sofisticatissimi, tecnologie all’avanguardia e diversissime, che consentono di acquisire molte informazioni indirette su quel che succede in una cellula e in un organismo, ma non abbiamo un microscopio che ci permette di guardare una cellula (men che mai viva, dentro a un animale) al punto di dire “Toh guarda, la cellula affianco gli sta sputacchiando addosso questo enzima, quella macchinetta lì sulla parete (si chiama recettore), accesa dall’enzima, manda giù un coso che va in quel punto del DNA e dice di produrre ste proteine… magiaaaa quelle proteine stanno montandosi in una macchinetta che trasmette i segnali da un neurone a un altro!”.

Almeno non nel modo descritto: possiamo ad esempio “marcare” una proteina in modo da renderla fluorescente e vedere con un microscopio se va in giro per la cellula, cerca di andare nel nucleo o si spalma sulla membrana (si usa una tecnica chiamata immunofluorescenza); oppure guardare se sta vicina a un’altra proteina (si chiama colocalizzazione); ma non possiamo guardare direttamente “quale proteina sta andando lì” in una cellula viva.

Quanto sappiamo di questi dettagli? Pochissimo.

Chiariamo: non è che la scienza brancoli nel buio. Ci sono un sacco di strumenti modernissimi e di soluzioni meravigliose per studiare queste cose, di alcune ne hanno sentito parlare perfino dei presunti scienziati e qualche ex ministro, vi racconterò in futuro le più carine.

Conosco invece Scienziati (con la esse doverosamente maiuscola) che hanno passato trent’anni, con un intero team di una ventina di collaboratori, a cercare di capire cosa fa una versione di una proteina, che forma ha, con quali altre proteine pratica sesso (di coppia o di gruppo che sia), se ha l’abitudine di appolparsi sul DNA o di andare in giro per la cellula, cosa succede “rompendola”, cosa succede aggiungendone di più, eccetera eccetera.

Sapete di quante proteine conosciamo più o meno bene queste cose? meno del 5%. Sapete di quante non sappiamo praticamente niente? più della metà. Ma comunque quel poco che sappiamo è una massa di conoscenze enorme, e nessun essere umano può avere l’arroganza di dire di saperne in prima persona più di un centesimo. E la biologia molecolare (ciò di cui abbiamo parlato) è un decimo della biologia delle cellule, che a sua volta è un decimo della ricerca biomedica.

Uno scienziato sa di non poter sapere da solo un decimillesimo di quello che sanno tutti gli scienziati insieme, che è un millesimo di quello che succede in una cellula, che è un centesimo di quello che succede in un organismo.

La ricerca di base, questa sconosciuta.

In tutto ciò non ho parlato di “testare un farmaco”, e non ne parlerò, non con questo dettaglio, perché non è il mio mestiere. Appunto.

Sto parlando di capire che quel gene, in quella variante di splicing, in una cellula differenziata per fare il neurone di un certo tipo, in una certa condizione, produce una proteina che è un mattoncino di una certa forma, che sarà un pezzo di un recettore, che consentirà al neurone di ricevere un segnale da un altro neurone, che lo trasmetterà a un muscolo, che farà sì che quando io avrò finito di scrivere questo articolo potrò alzarmi dalla sedia, e qualcun altro no: perché un sassolino ha inceppato quella stronzissima macchinetta.

Sapendo questo qualcuno un giorno potrà “pensare” a un tappino che impedisce al sassolino che inceppa la macchinetta d’infilarcisi, solo dopo quel tappino (farmaco) andrà progettato, costruito, collaudato eccetera; ma questo prima del signore che ha studiato per trent’anni che fa quella proteina (senza saperlo prima) non si può nemmeno iniziare.

Questa si chiama ricerca di base.

È interessante notare che parlando di Sperimentazione Animale si finisca sempre e solo per parlare di test tossicologici (ossia di collaudare i farmaci): io credo sinceramente che in alcuni decenni la maggior parte dei test tossicologici potrà essere sostituita con metodi alternativi (specifico di nuovo che la tossicologia non è il mio campo, quindi potrei sbagliare), ma la maggior parte degli animali sono utilizzati per la ricerca di base, non per i test tossicologici!

Per ora mi basta avervi spiegato due cose: prima che se la scienza, in generale, è complicata… la biologia è dannatamente complicata, e chi pensa di conoscerla tutta è molto arrogante, molto presuntuoso e soprattutto ignorante, vive nella forma peggiore d’ignoranza: non sa nemmeno di non sapere, e non ha nemmeno un’infarinatura di base sulle cose che ho scritto sopra (questa gli consentirebbe di capire quante cose ci sono che non sa); poi che anche quello che tutti gli scienziati messi insieme sanno è una goccia nel mare, c’è ancora “quasi tutto” da capire, e senza capire non si fa nessun modello, nessun farmaco da “testare”… e i test tossicologici per i quali tanto si parla di “metodi alternativi” sono l’ultimo dei problemi.

[RV]

17 thoughts on “Come funziona la scienza: Capitolo IV

  1. Bell’articolo, ammetto di non aver saputo quasi il 90% di quello che hai scritto, e anche dopo averlo letto l’impressione resta comunque quella di non aver capito granché, pur avendo la fortuna di avere un fratello a cui chiedere chiarimenti (siccome è studente di biologia).

    Da un lato mi pare evidente che no si possa superare un certo grado di chiarezza senza avere le basi adatta alla comprensione, dall’altro tutto sommato si rende abbastanza bene l’idea della quantità e complessità dei fenomeni.

    Una nota negativa però è che l’immagine del DNA al microscopio riportata non ha indicato un riferimento dimensionale (necessario in ogni lavoro scientifico) e l’espressione “microscopio elettronico” è un po’ vaga. Di che tipo di microscopio si tratta esattamente? Quantomeno la tipologia. Lo chiedo perché anche quello è un indice della complessità di queste analisi: servono pretrattamenti, camere ad alto vuoto, c’è riscaldamento ad opera del raggio elettronico; questi sono tutti fattori che indicano quanto lontani dalla situazione ideale (DNA nel suo stato naturale, all’interno del nucleo) siamo e, quindi, quanta strada ci sia ancora da fare.

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    • TEM. Microscopio elettronico a trasmissione, tipo un Tecnai 12 o 20 di FEI o un JEM-1400 di Jeol. Non ti so dire di più sull’immagine perché è una immagine di libreria presa solo come “esempio”.
      Come potrai notare più dettagli si aggiungono più difficile diventa spiegare le cose in modo “decentemente comprensibile”, un compromesso è inevitabile… [RV]

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      • Comunque un TEM ha una capacità di risoluzione (teorica) di 0.2 nm. La “catenella” che si vede nell’immagine è spessa circa 2.5 nm, ma probabilmente appare leggermente più larga a causa degli artefatti. Ogni “palletta” (cioè ogni coppia di due nucleotidi) è lunga circa 0.3 nm, ma escludo che siano visibili in quell’immagine. Ogni nucleotide poi è formato da tre molecole…
        Questo tanto per dare un’idea delle dimensioni su cui si lavora 🙂

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      • A me sembra una immagine di un SEM piuttosto…e’ pure in 3d… ma io sono un ecotossicologo, non un biologo molecolare

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  2. Salve, quando verra’ finita sara’ possibile riunirla (ed un po’ ripulirla) ed inviarla al ministero della pubblica istruzione (per adesso minuscolo) chiedendo di includerla in TUTTI i programmi di scienze dalle scuole medie in poi? Grazie. C.

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  3. Io sono d’accordo con Cinga sul pubblicare tutte le lezioni. 🙂 Magari non per il Ministero, ma cercare di far girare il più possibile (magari in formato e-book) una serie del genere potrebbe essere utile, oltre che interessante. Il linguaggio colloquiale, poi, aiuta!

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  4. Ottima serie di articoli, interessanti e capaci di spiegare bene a persone razionali come si affrontano problemi complessi relativi a settori sconosciuti. Notevole anche il perculo verso l’irrazionalità dilagante in tutte le sue incarnazioni, veamente uno spasso leggerli.
    La domanda è però questa: quanti ebeti li capiscono? Secondo me pochi, perchè danno per scontate capacità cognitive troppo elevate, e la dialettica troppo razionale, non chiedetemi perchè, viene percepita come antipatica dagli “emotivi”. Lo vivo quotidianamente, gli “emotivi” mi giudicano cinico e insnsibile, oltre che presuntuoso e insopportabile.
    Mettere a nudo l’idiozia della ggente non la induce ad una riflessione logica, come ci si aspetta, bensì acuisce lo scontro.
    Il rischio è quindi che questo metodo, sia apprezzato dai professionisti, non necessariamente del settore, ma risulti incomprensibile/odioso/offensivo per il caprone(leggi italiota) medio.
    Con questo papiro non voglio assolutamente screditare gli autori di questo blog, che stimo moltissimo, e di cui c’è un gran bisogno visto il medioevo che avanza.
    Vorrei riflettere sul fatto che occorra purtroppo che si inizi ad utilizzare una strategia di comunicazione emotiva.
    Sono convinto che il caso Simonsen, che non ha dimostrato nulla a nessuno a livello strettamente scientifico logico, se non il becerume di certi esponenti di associazioni “animalarde”, abbia spostato l’opinione pubblica più di 1000 di questi articoli.
    So che per un tecnico è brutto doversi mettere ad emozionare per vendere quando la qualità del proprio prodotto moralmente dovrebbe garantirne il succeso.
    Peerò il mercato dice il contrario, per cui vista la necessità assoluta di ottenere leggi che consentano la ricerca in Italia, come strategia a breve termine vi consiglio di aumentare il budget relativo al marketing, strumentalizzando a fin d bene le emozioni della ggente.
    Poi che sia fondamentale un educazione alla razionalità, partendo dalle scuole primarie, quando ancora i cervelli non sono stati danneggiati irrimediabilmente dai mass media e dai social network, è cosa ovvia.

    Cordiali Saluti,

    Marco

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    • Ciao a te e grazie per le riflessioni,
      entri in una diatriba nella quale io “predico bene e razzolo (piuttosto) male”, rispetto al tuo punto di vista.
      Periodicamente su FB veniamo accusati di eccedere nel perculamento e nel tifo da stadio e riceviamo inviti a fare più “divulgazione seria”, io sono radicalmente convinto che ci voglia un po’ di tutto: sfotto’, esposizione delle cazzate degli invasati, messaggi emotivi, divulgazione, eccetera.
      Penso che il mondo della scienza sbagli ad avere talvolta un atteggiamento snobista e a disdegnare il “parlare al cuore e alla pancia”, lo dico sempre ai colleghi: Caterina, senza probabilmente nemmeno sceglierlo, ha fatto di più per la ricerca in una settimana di quanto abbiamo fatto noi in un anno.
      Ma tutto serve. Le emozioni sono volatili, la cultura e il ragionamento sono un investimento a lungo termine. Oggi paghiamo molto la mancanza di questo investmento negli anni passati.
      Nel mio piccolo, avendo una certa esperienza nel mondo scientifico, faccio quello che mi è più congeniale: spiegare le cose con un linguaggio semplice e “terra terra”, alla portata non certo di un invasato antispecista (che anche quando potrebbe capire, semplicemente, non legge perché non vuole sapere) ma almeno di quella di uno studente del liceo.
      Se 10 studenti del liceo o 50 non-laureati trovano questi articoli interessanti e ne capiscono almeno la metà… ho fatto la mia parte. Piccola.
      [RV]

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  5. Articolo molto carino 🙂 Una cosa. Lo splicing alternativo avviene in fase di traduzione da RNA a Proteina, non trascrizione, quindi è parte di quelle modifiche sull’RNA primario in modo che sia trasformato in m-RNA. lo spliceosoma non tocca mai il DNA. cordiali saluti

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