La Direttiva Europea per la Protezione degli Animali usati nella Sperimentazione: una Risposta a Vanna Brocca

Alcuni utenti ci hanno segnalato quanto scrive di noi Vanna Brocca in un articolo sulla pagina web de Il Fatto Quotidiano. Dico “di noi” perché nel momento in cui parla di

finti “sfaccendati” e/o sostenitori dichiarati della sperimentazione animale che frequentano le suddette pagine facebook, disseminandole di affermazioni del tipo “se sei contro la vivisezione, evita di prendere l’aspirina!” oppure di domande come “sarà meglio sperimentare su un cane o su tuo figlio?” (con costoro, quando si ha tempo e voglia, è sempre interessante portare il ragionamento alle sue più serie ma semplici conseguenze, e ribattere: “meglio tuo figlio o un piccolo africano”? e stare a vedere che cosa rispondono)

vien spontaneo chiedersi quante saranno le pagine facebook italiane che si occupano di sperimentazione animale. Non lo sappiamo, ma noi senz’altro ne facciamo parte. Pare che stiamo attirando a poco a poco l’attenzione di un pubblico più ampio di quanto ci aspettassimo, e questo ci rende fieri; dunque dobbiamo ringraziare per l’onore accordatoci dalla Brocca. Parallelamente, visto il suo pungente, raffinato e asettico uso del sarcasmo, siamo certi che non se la prenderà se scriviamo un po’ sullo stesso tono, solo lievemente meno acceso dall’ideologia. Dopotutto siamo razionalisti, no? E come tali, in parenthesis, ci par d’obbligo di rispondere alla domanda postaci: ovviamente se la scelta fosse solo quella salverei mio figlio. Come “dilemma etico” l’autrice avrebbe potuto senz’altro spremersi le meningi per individuare qualcosa che impegnasse maggiormente le nostre facoltà, e che magari non presupponesse già il dogma animalista, che noi neghiamo, secondo il quale l’animale ha importanza pari a quella dell’uomo.

Ad ogni modo, al di là dei “piacevoli apprezzamenti” inviatici dalla giornalista, che cordialmente ricambiamo, forse non ci sarebbe gran ragione di continuare la lettura. Le risposte alle affermazioni della Brocca, così come un’analisi dello stile retorico ed umorale ch’ella adotta, potete trovarle un po’ ovunque nel nostro blog (e in particolare nelle nostre FAQ n° 2.5, 3.4, 3.5 e tutta la sezione 4), e dunque si potrebbe passar sopra al suo piccolo sfogo da amante degli animali un po’ astratta dalle umane vicende e dal senso della carne, del sangue, della vita e della morte che scorrono.

Difficilmente però si può passar sopra ai tentativi di disinformazione che porta avanti nel momento in cui ci offre il suo meraviglioso “resoconto imparziale” sulla direttiva europea che tanto ha acceso gli animi delicati degli animalisti in questi ultimi tempi.

A dire il vero, rispondere nel merito potrebbe apparire anch’esso superfluo; basterebbe invitare alla lettura del testo originale della direttiva in questione per svelare l’arcano. Ma vogliamo risparmiare al lettore perfino questa fatica, riportandone, senza nulla aggiungere e nulla togliere, i passi salienti indicati dalla stessa Brocca:


Articolo 2
Misure nazionali più rigorose

  1. Nel rispetto delle disposizioni generali del TFUE, gli Stati membri possono mantenere disposizioni vigenti al 9 novembre 2010, intese ad assicurare una protezione più estesa degli animali che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva rispetto a quella prevista nella presente direttiva. Prima del 1 o gennaio 2013, gli Stati membri informano la Commissione di tali disposizioni nazionali. La Commissione le porta all’attenzione degli altri Stati membri.
  2. Quando agisce conformemente al paragrafo 1, uno Stato membro non vieta o ostacola la fornitura o l’uso di animali allevati o tenuti in un altro Stato membro in conformità della presente direttiva, né vieta o ostacola l’immissione sul mercato di prodotti derivanti dall’uso di tali animali in conformità della presente direttiva.


L’articolo 2, insomma, è un’autorizzazione formale per gli stati membri a mantenere dei regolamenti interni più duri rispetto a quelli che la direttiva stessa prevede e in accordo invece con quelli precedenti. Ciò che viene negato è la possibilità per gli stati membri di porre ostacoli alla circolazione di merci nell’UE.

Non ci sembra di vedere affermato in alcun luogo che la vendita di randagi da usare per la sperimentazione non sia più reato

Ma vediamo cosa dice più nel dettaglio la presente direttiva, che rispetto a quella precedente è meno restrittiva, in particolare nell’articolo 11 cui la giornalista ci aveva rimandato:



Articolo 11
Animali randagi e selvatici delle specie domestiche

  1. Gli animali randagi e selvatici delle specie domestiche non sono utilizzati nelle procedure.
  2. Le autorità competenti possono concedere deroghe al paragrafo 1 soltanto alle condizioni seguenti:
    • è essenziale disporre di studi riguardanti la salute e il benessere di tali animali o gravi minacce per l’ambiente o la salute umana o animale;
    • è scientificamente provato che è impossibile raggiungere lo scopo della procedura se non utilizzando un animale selvatico o randagio.


Ignoriamo come la proposizione perentoria contenuta nel par.1 possa essere letta come il suo esatto opposto, “usate i randagi tranquillamente”. La direttiva ammette delle deroghe, ma pone delle condizioni molto restrittive e richiede che la scelta di usare il randagio sia giustificata dalla procedura. Arduo immaginare dei casi in cui sia possibile fornire una giustificazione scientifica all’uso di un randagio, a meno di voler fare, ad esempio, uno studio epidemiologico su un morbo che si diffonde fra i randagi. Ma non certo per testarci un’aspirina …



Articolo 16
Riutilizzo

  1. Gli Stati membri assicurano che, anche quando sia possibile utilizzare un diverso animale al quale non sia stata applicata alcuna procedura, un animale che sia già stato usato in una o più procedure possa essere riutilizzato in nuove procedure solo se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
    • l’effettiva gravità delle procedure precedenti era «lieve» o «moderata»;
    • è dimostrato che è stato pienamente ripristinato il benessere e lo stato di salute generale dell’animale;
    • la procedura successiva è classificata come «lieve», «moderata» o «non risveglio»;
    • è conforme al parere del veterinario tenendo conto delle esperienze dell’animale nel corso di tutta la sua vita.

  2. In casi eccezionali, in deroga al paragrafo 1, lettera a), e dopo aver sottoposto l’animale ad una visita veterinaria, l’autorità competente può consentire che un animale venga riutilizzato purché questo non sia stato impiegato più di una volta in una procedura che comporta intenso dolore, angoscia o sofferenza equivalente.


Si direbbe che questa sia la parte più chiara e rigida della normativa, visto anche che le procedure considerate di intensità lieve o moderata sono univocamente definite in allegato. Le possibilità di deroga sono formulate in maniera così poco ambigua da essere di fatto quasi inesistenti: posso riutilizzare l’animale solo una volta, deve aver recuperato completamente dall’intervento, il nuovo esperimento deve comportare solo sofferenze di tipo lieve o moderato. Non c’è molto margine di manovra per i crudeli aguzzini in camice bianco.



Articolo 14
Anestesia

  1. Gli Stati membri assicurano che, salvo non sia opportuno, le procedure siano effettuate sotto anestesia totale o locale, e che siano impiegati analgesici o un altro metodo appropriato per ridurre al minimo dolore sofferenza e angoscia. Le procedure che comportano gravi lesioni che possono causare intenso dolore non sono effettuate senza anestesia.
  2. Allorché si decide sull’opportunità di ricorrere all’anestesia si tiene conto dei seguenti fattori:
    • se si ritiene che l’anestesia sia più traumatica per l’animale della procedura stessa;
    • se l’anestesia è incompatibile con lo scopo della procedura.

  3. Gli Stati membri assicurano che agli animali non sia somministrata alcuna sostanza che elimini o riduca la loro capacità di mostrare dolore senza una dose adeguata di anestetici o di analgesici. In questi casi è fornita una giustificazione scientifica insieme a informazioni dettagliate sul regime anestetico o analgesico.
  4. Un animale che, una volta passato l’effetto dell’anestesia, manifesti sofferenza riceve un trattamento analgesico preventivo e postoperatorio o è trattato con altri metodi antidolorifici adeguati sempre che ciò sia compatibile con la finalità della procedura.
  5. Non appena raggiunto lo scopo della procedura sono intraprese azioni appropriate allo scopo di ridurre al minimo la sofferenza dell’animale.


Ancora, sembra davvero tutto chiaro. Anche qui sono concesse alcune deroghe: la prima è una questione di semplice buon senso; la seconda non si può leggere certo come un carta bianca agli sperimentatori. La scienza non è un’opinione, non possiamo inventarci di punto in bianco un “qualcosa” per non usare l’anestesia (e poi perché non la vogliamo usare, visto che rende più semplice maneggiare l’animale, è meno crudele, e nella maggior parte dei casi se l’animale prova dolore la validità dell’esperimento può addirittura esserne inficiata?). Dobbiamo avere dei motivi validi per lesinare sul tribromoetanolo, e quei motivi finiranno anche sul paper finale. La direttiva così come è formulata ci obbliga formalmente a fare in modo che nessuna sofferenza gratuita sia inferta all’animale.

Il punto è che agli animalisti non interessa che siano abolite solo le sofferenze gratuite, come a tutto il resto della popolazione. Loro vogliono che siano abolite anche quelle a caro, carissimo prezzo; e difatti sono ben disposti ad arrestare l’intero progresso della medicina per evitare qualsiasi tipo di sofferenza agli animali. Per noi, di converso, non è un problema di toracotomia, scosse elettriche o altro; almeno in linea di principio, una toracotomia senza anestesia può essere eticamente giustificata qualora serva ad esempio per salvare da un pericolo immediato un numero di vite molto maggiore. E dunque la legge, equilibratamente, questa possibilità la consente, ma ponendo delle condizioni estremamente restrittive per essa: come la giustifichi una toracotomia senza anestesia? Perché dovremmo farla? Ah, scusate la dimenticanza (si sa, noi scienziati siam distratti) … per ché siamo sadici, era chiaro.

Interverremo ancora su tematiche proposte in quell’ammirevole sintesi di animalistipensiero che è l’articolo di Vanna Brocca, ma appunto poiché in poche righe riesce a racchiudere una tale serie di fantasticherie che meriterebbe un libro intero per la confutazione (e in effetti ogni libro di medicina o biologia ne È una confutazione), l’impresa richiederà più tempo e più interventi.

In particolare, ci si propone di ritornare sulla questione della validazione della sperimentazione animale. Qualcuno dovrà pur spiegare alla Brocca che l’unica validazione di cui un metodo di ricerca ha bisogno è quella della Comunità Scientifica. I protocolli di validazione imposti dalla legge sono tutt’altra cosa, non riguardando la ricerca su animali, ma i test su animali. C’è una differenza abissale per uno che sappia di cosa si parla, ma ci sono alcune spie che danno un’idea ben chiara del livello di competenza dello stesore dell’articolo; basti notare a titolo di esempio il buffo qui pro quo per via del quale ella, grazie a un piccolo fraintendimento dell’espressione “impotenza appresa”, attribuisce alle scosse elettriche il potere di causare disfunzioni erettili ai ratti. Chapeau.

Ad ogni modo, ringraziamo Vanna Brocca per averci fornito la possibilità di trattare più nel dettaglio alcuni aspetti della legislazione in merito alla sperimentazione animale in Europa. Il suo contributo non sarà dimenticato, e ne fa ufficialmente una delle nostre nuove beniamine.



Cordialmente, OI